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Terzo: favorire gli investimenti per migliorare lo stato degli impianti e rendere più efficiente la gestione. Il problema è passare da un regime pubblico frammentato, inefficiente e largamente sovvenzionato a un sistema industriale che consenta economie di scala e investimenti adeguati, in larga parte autofinanziati.
Il ritardo maggiore nell'attuazione della Galli riguarda proprio gli investimenti finanziati con contributi pubblici a fondo perduto tipici del vecchio regime: solo il 36% dei programmi viene realizzato perché i fondi restano sulla carta, le finanziarie li tagliano dopo averli promessi. La percentuale di investimenti effettivamente realizzati sale invece al 56% se si considerano gli investimenti finanziati da banche e project financing (mediante la tariffa) nei nuovi ambiti della legge Galli. Ancora poco, ma è uno scatto. Anche perché oggi è ingenuo pensare che il Tesoro possa farsi carico di investimenti stimati nell'ordine dei 28-30 miliardi.
L'attuazione della legge Galli è stata tutt'altro che una marcia trionfale. Dei 92 ambiti territoriali ottimali previsti soltanto 69 sono passati al nuovo corso: 8 su 28 al sud, 32 su 45 al nord. Il 34% della popolazione non ha ancora il servizio idrico integrato, mancando di fogne o depuratori. Dove è stato realizzato, si è preferito quasi sempre il trascinamento di vecchie gestioni. Il sistema dell'in house, gradito ai politici locali perché distribuisce poltrone pubbliche, resta per oltre il 50% delle gestioni.
La modernizzazione resta così un miraggio. Altro che privatizzazione dell'acqua. I nostri servizi idrici restano su un piano inclinato di degrado strutturale, che lasceremo alle future generazioni. A caratterizzare il sistema italiano c'è da anni il dato delle perdite di acqua dalla fonte al rubinetto: 30, 40 o 50%? La situazione delle perdite delle reti appare generalmente fuori controllo, salvo pochi casi isolati, denuncia la piccola autorità di vigilanza del settore, il Conviri.
E l'idea di una vera autorità pubblica indipendente che regoli la tariffa idrica o l'estensione all'acqua delle competenze dell'attuale autorità per l'energia? È uno dei temi che di tanto in tanto vengono rilanciati. Anche il governo ci sta pensando com risposta alle accuse di voler svendere l'acqua ai gruppi privati. C'è chi ricorda, però, che abbiamo le tariffe idriche più basse d'Europa e le tariffe di elettricità e gas più alte. E che l'autorità non è necessariamente il miglior modo per difendere gli utenti in un sistema a responsabilità decentrata. Meglio, forse, un'agenzia nazionale che possa fare da supporto tecnico per i comuni e per le strutture amministrative degli Ato. Le polemiche sulle tariffe tengono, però, effettivamente banco.
Oggi convivono due sistemi tariffari, quello della Galli e quello antecedente. Con la Galli a definire la tariffa è il piano di ambito, proposto dal gestore in gara e approvato dell'assemblea dei comuni. «Ci sono stati aumenti – dice il presidente del Conviri Roberto Passino – perché qui la tariffa copre tutti i costi, compresi quelli di manutenzione e di investimento. Questo ha consentito, dove la legge è stata attuata con coerenza, di finanziare investimenti e migliorare il servizio. Nel sistema antecedente, che opera ancora su un terzo del territorio, la tariffa è decisa dai comuni e avviene quel che accade quando la tariffa di un servizio è sotto totale controllo politico: resta bassa e non copre neanche il costo dell'esercizio». Negli ultimi tre anni le tariffe sono cresciute del 5% annuo, ma restano molto basse nel confronto europeo. Questo - fuori di ogni demagogia - è uno dei punti critici dell'acqua in Italia insieme al basso livello degli investimenti.
Nasce l'associazione a difesa dell'acqua pubblica